due geishe si inchinano

Le Forme Onorifiche

Nella lingua giapponese il modo di parlare cambia in base ai rapporti sociali tra interlocutori attraverso complesse forme onorifiche.
E non sto parlando di generiche forme di rispetto come dare del “lei” in italiano.
In giapponese si usano parole e costruzioni verbali completamente diverse a seconda della mia posizione sociale in rapporto alla posizione sociale della persona con cui o di cui sto parlando.
È uno dei sistemi linguistico-sociali più complessi e articolati al mondo e una delle più grandi difficoltà con cui si scontra chi studia giapponese assieme al sistema di scrittura.

Uchi Vs Soto

Al centro di questo sistema di forme onorifiche c’è colui che parla e il suo mondo, che comprende famigliari e amici. È l’UCHI (pronuncia “uci”), che può essere tradotto come “interno”.
Tutti coloro che non rientrano in questo “recinto” sono SOTO, ossia estranei.

Soto Vs Uchi, schema con le sfere di appartenenza degli interlocutori che modificano le forme onorifiche della lingua giapponese
Questo è il tipico schema che si usa per comprendere i rapporti tra uchi e soto per scegliere i verbi e le parole da utilizzare.

Persone Speciali

All’interno di SOTO c’è poi un sottogruppo di persone speciali, che considero superiori, perché l’età e l’esperienza li rende degni di rispetto, o per la posizione di prestigio e importanza sociale che ricoprono. Sono generalmente coloro che chiamo “sensei“: insegnanti, medici, parlamentari, ecc.

Dare e Avere

Analizzare le varianti e l’uso dei verbi “dare” e “avere” è il modo migliore per capire come funziona questo sistema di forme onorifiche.

Ageru

illustrazione che mostra le forme onorifiche giapponesi del verbo dare agheru

Do a mio padre un libro. (io→uchi)
Mio padre da un libro al vicino. (uchi→soto)
Marco da un libro a Maria. (soto→soto)
Per tutti questi casi si può usare il verbo generico per “dare”: AGERU (pronuncia “agheru”).

Sashiageru

illustrazione che mostra le forme onorifiche giapponesi del verbo dare sashiagheru

Io do un libro al professore.
Se il mio interlocutore appartiene a soto ed è considerato persona degna di speciale rispetto, il verbo è SASHIAGERU.
Volendo tradurlo letteralmente si potrebbe usare la parola “innalzare” per mostrare la posizione elevata del mio interlocutore. Come dire “ho innalzato il libro al professore”.

Yaru

illustrazione che mostra le forme onorifiche giapponesi del verbo dare yaru

“Io do un libro al bambino”.
Se invece il mio interlocutore è chiaramente inferiore a me il verbo usato è YARU. Lo posso usare con bambini, fratelli e sorelle minori, o un animale domestico. È usato anche tra amici maschi in cofindenza tra loro.
Volendo tradurlo letteralmente si potrebbe usare la parola “gettare”. “Ho gettato l’osso al cane”.

Kureru

Marco mi ha dato un libro
È la forma generica per quando un soto dà qualcosa a un uchi o un uchi dà qualcosa a chi parla.

Kudasaru

“Il maestro mi ha dato un libro”.
KUDASARU si usa quando qualcuno di superiore della sfera soto dà qualcosa a me o a un mio uchi. Si potrebbe tradurre letteralmente con “il maestro mi ha abbassato un libro”.

Morau

Ho ricevuto un libro da Marco”.
Quando chi parla riceve qualcosa da qualcuno il verbo generico che si utilizza è MORAU. Vale anche per scambi soto→soto, uchi→uchi, uchi→soto.

Itadaku

Ho ricevuto un libro dal professore”.
È il verbo che si usa quando chi parla, o un suo uchi, riceve qualcosa da qualcuno della sfera soto, identificato come appartente a categoria di grande rispetto (vedi sopra).

Combinazioni

Tutto il sistema di verbi fin qui brevemente illustrato si applica ad altre situazioni in cui qualcuno fa a qualcosa a favore di qualcun altro. In frasi come:

Mia madre mi cucina il sushi
Il maestro mi spiega la lezione
Accarezzo il gatto.

Si unisce il verbo specifico (cucinare, spiegare, accarezzare) al verbo dare/ricevere più appropriato per i rapporti tra soggetti (kureru, itadaku, yaru, morau, ecc.).
Se sembra molto complicato è perché lo è.

Altri Verbi

La cosa ovviamente non finisce qui. Il sistema soto-uchi e sottogruppo di persone degne di particolare rispetto, si applica in tanti altri aspetti della lingua giapponese come la scelta del verbo.

Mangiare

Il verbo mangiare esemplifica al meglio quanto possano essere diverse tra loro le parole usate a seconda del contesto e dei soggetti coinvolti nell’azione.
Il verbo più comune per “mangiare” in giapponese è TABERU.
Nella frase “il professore mangia“, il verbo che uso è però MESHIAGARU.
Se sono tra amici maschi con cui ho confidenza e dico “andiamo a mangiare” il verbo usato sarà “KUU“.

Rispetto e Modestia

Gli esempi possono essere moltissimi. Si tratta di verbi diversi a seconda delle persone a cui si riferisce l’azione o diverse costruzioni verbali.
Alcuni di questi hanno il compito di “elevare” un interlocutore degno di particolare rispetto, altri di “abbassare” colui che parla di fronte a una persona importante.
Le costruzioni e i concetti sottostanti queste forme onorifiche possono essere particolarmente complicati. Anche gli stessi giapponesi hanno difficoltà a padroneggiare le sottigliezze di questo sistema, soprattutto se non hanno a che fare quotidianamente con situazioni che richiedano elevati livelli di formalità. Chi per lavoro, anche se giapponese, si trova a dover utilizzare questo linguaggio, riceve normalmente una formazione specifica sulle forme grammaticali di rispetto.

Qualche Esempio

VerboForma neutraOnorificoForma di modestia
VedereMiru
(見る)
Go-ran ni naru
(ご覧になる)
Haiken suru
(拝見する)
DireIu
(言う)
Ossharu
(仰る)
Mosu
(申す)
FareSuru
(する)
Nasaru
(なさる)
Itasu
(致す)
VenireKuru
(来る)
O-ide ni naru
(御出でになる)
Mairu
(参る)
IncontrareAu
(会う)
O-ai ni naru
(お会いになる)
O-me ni kakaru
(御目に掛かる)

Come puoi notare non sono forme diverse dello stesso verbo, ma parole completamente diverse.

L’ultimo esempio che voglio fare per spaventarvi definitivamente nel caso stiate pensando di iniziare a studiare giapponese è sul pronome di prima persona singolare.

Io

Anche una parola così semplice e immediata come “io” in lingua giapponese cambia a seconda della persona con cui sto parlando. In poche parole ci sono molte versioni diverse per dire “io”. E per evitare brutte figure sono da usare con estrema cautela e accuratezza.

Watashi – 私

La parola più generica e usata per indicare “io” in giapponese è “watashi“. In realtà ci sono alcune varianti anche di questa prima versione.

  • In un discorso molto formale, magari parlando in pubblico, può diventare “watakushi“, o “ware-ware” per dire “noi” se parliamo a nome di un gruppo di persone.
  • Una donna, in una situazione informale, tra amiche, parenti, con il partner, può usare l’abbreviazione “atashi“.
  • Persona autorevole, magari di una certa età, di fronte a interlocutori più giovani o in posizione nettamente inferiore, potrebbe usare la forma contratta “washi” o “ware“. Quest’ultimo però può anche essere seconda persona singolare!!

Boku – 僕

Un uomo, tra amici dello stesso livello sociale (compagni di classe, compagni di lavoro di pari grado, coetanei, ecc) userò la parola “boku“.
Una donna non userà mai questa parola.

Ore – 俺

Un uomo, in una situazione informale tra persone di pari grado o inferiori per età, prestigio, posizione lavorativa, può usare la parola “ore“, nella quale però c’è una sfumatura di sfrontatezza. Può andare bene in un contesto cameratesco tra amici di una comitiva o tra compagni di una squadra sportiva, ma va usato con molta cautela perché può risultare rude e maleducato. Parola esclusivamente maschile.

Uchi – 内

Chi parla di sé stesso, ma come membro di un gruppo di cui fa parte, famiglia, classe, ditta in cui lavora, userà il pronome “uchi“, che è una via di mezzo tra io e noi.

Watashi, watakushi, atashi, washi, ware, ware-ware, boku, ore, uchi, esistono altre lingue al mondo che abbiano così tante versioni e varianti per esprimere la semplice parola “io”? E così tante e complicate forme onorifiche e di rispetto?
Se ne conoscete fatecelo sapere nei commenti.

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