Alle Origini della Cultura Giapponese

Le origini dei giapponesi sono ancora un mistero. La comunità scientifica concorda sul fatto che la cultura giapponese sia un mix di elementi provenienti da diverse zone dell’Asia continentale fusi tra loro in epoca preistorica. L’arco temporale in cui questi elementi sono giunti nell’arcipelago nipponico e la percentuale di ognuno nell’insieme complessivo non è pero del tutto chiaro.
La isole giapponesi si trovano all’estremità sudorientale del continente asiatico e quasi lo toccano in due punti. In epoca preistorica ci fu una migrazione da nord di tribù mongole che arrivarono attraverso la Corea. Allo stesso tempo, alcune caratteristiche della prima civiltà giapponese, in particolare il metodo di coltivazione con risaie allagate, sono certamente arrivate dalla Cina meridionale. Per quanto riguarda gli Ainu, gli abitanti di Hokkaido, la grande isola a nord, testimonianze filologiche e genetiche dimostrano che un tempo erano diffusi in tutto l’arcipelago e le loro origini remote, secondo molti, sono caucasiche.

Periodo Jomon (縄文) e Yayoi (弥生)

Al momento non sono state trovate tracce di cultura paleolitica in Giappone, ma ci sono due culture neolitiche principali.
La prima è la Jōmon (縄文), che prende il nome dai disegni sulle ceramiche che ricordano segni di corda.
L’altro è il tipo Yayoi (弥生), che prende il nome del sito neolitico in cui fu rinvenuta per la prima volta ceramica di quest’epoca.
Entrambi i tipi si trovano nei siti neolitici di tutto il Giappone. La ceramica Jōmon è più frequente nel Nord e nell’Est, dove la ceramica di Yayoi è relativamente scarsa. Dove si trovano insieme, la ceramica Jōmon è al di sotto di quella Yayoi ed è quindi considerata più antica. Tecnicamente i manufatti Jōmon sono inferiori a quelli Yayoi, artisticamente appaiono più avanzati, con una maggiore creatività e varietà di forme. Anche i manufatti in pietra Jōmon sono generalmente più elaborati di quelli Yayoi. Si può ipotizzare che la cultura neolitica Jōmon abbia avuto un lungo periodo di sviluppo isolato. Successivamente è stata sostituita dalla cultura Yayoi nel Giappone meridionale e occidentale e abbia raggiunto il suo apice nel nord e nell’est del Giappone.
La cultura Yayoi invece, forse già al momento del contatto con la Jōmon, era in declino e in procinto di essere soppiantata dalla fase metallica, come dimostra la presenza di oggetti in bronzo associati alla ceramica Yayoi in molti siti di scavo.

Le testimonianze archeologiche non ci dicono se il loro sviluppo sia autoctono. È probabile che entrambe le culture neolitiche abbiano avuto origine nel continente. Alcune ceramiche neolitiche rudimentali scoperte in Corea mostrano una somiglianza con le prime ceramiche del periodo di Yayoi. Per analogia, è possibile che, come la cultura Yayoi giunta in Giappone attraverso la Corea, anche la precedente cultura Jōmon abbia seguito la stessa strada.

Dogu (土偶) uno dei manufatti più tipici della cultura Jōmon. Erano piccole, elaborate figure umane il cui vero scopo non è noto. Hanno proporzioni insolite e alcuni dettagli potrebbero ricordare occhiali, caschi e persino tute spaziali di creature aliene. Gli ufologi spesso si riferisce ai dogu come prova di antichi contatti tra gli esseri umani e le civiltà extraterrestri.

Lo studio dei resti umani trovati nei siti neolitici Jōmon dimostra che erano dello stesso tipo fisico dei moderni Ainu che oggi vivono in Hokkaidō. Fisicamente e culturalmente gli Ainu appartengono ai popoli caucasici diffusisi nel nord Europa e in Asia, un tipo fisico diverso da quello degli Yayoi.

La cultura neolitica sviluppatasi in Giappone raggiunse un livello molto alto. Alcuni studiosi giapponesi affermano che si tratta di una delle culture neolitiche più avanzate al mondo, per la sua abilità nella fabbricazione di armi e strumenti e per l’originalità della progettazione e dell’ornamento in ceramica. Questa prima ceramica si espresse in concezioni sontuose per forma e decorazione. Probabilmente il talento artistico del Giappone successivo affonda le sue radici nel passato preistorico.

Questa cultura primitiva, per raggiungere un tale grado di perfezione, deve aver attraversato un lunghissimo sviluppo in Giappone. È possibile che durante più di un’ondata migratoria sia giunta dalla terraferma, sia dalla penisola coreana che dalle regioni siberiane e dalla Kamchatka. Ma tutto questo è una congettura su un passato molto nebuloso, ed è solo intorno all’inizio dell’era cristiana che cominciamo a trovare prove documentali dei rapporti con il continente asiatico continentale.

Quando si indaga sulle origini della cultura neolitica Yayoi del Giappone, bisogna guardare ai risultati della ricerca archeologica in Corea. Qui si trovano diversi tipi di resti neolitici, che segnano fasi culturali ben differenziate per ciascuna delle quali si può distinguere un tipo di Yayoi corrispondente in Giappone. Le prove indicano una cultura del primo neolitico comune alla Manciuria e alla Corea che ha avuto la sua controparte in Giappone nelle prime forme di cultura di Yayoi. In seguito la Corea fu soggetta a nuove influenze culturali provenienti dall’esterno, e queste influenze furono a loro volta trasmesse – attraverso l’immigrazione dalla Corea – al Giappone. Qui, come testimonia il miglioramento tecnico di alcuni artefatti Yayoi, il livello culturale generale si innalzò, e permise al popolo Yayoi di scalzare o assorbire il popolo Jōmon.

Le varie fasi del neolitico in Corea sono caratterizzate da tre tipi di ceramica che, secondo alcuni studiosi giapponesi, corrispondono alla ceramica neolitica rinvenuta rispettivamente in Siberia, Russia settentrionale, Finlandia e Svezia, Cina occidentale, Manciuria, Mongolia interna e Cina meridionale. Questo punto di vista, tuttavia, pur sollevando presunzioni circa l’origine delle fasi successive della cultura neolitica in Giappone, non risolve il mistero sulle origini del popolo Yayoi. Tutto ciò che possiamo dire è che probabilmente la popolazione dell’arcipelago giapponese durante l’età della pietra comprendeva persone di origine mongola. Ci sono molte caratteristiche della prima cultura giapponese, come ricostruito dal folklore, che indicano un’affinità con i popoli mongoli. Così, ad esempio, la prima religione giapponese ha molto in comune con lo sciamanesimo praticato nel nord-est asiatico. Le armi primitive giapponesi assomigliano alle armi dell’Asia nordorientale piuttosto che a quelle delle isole oceaniche, e il tipo fisico giapponese dominante è il mongoloide: a cranio largo, leggermente prognatico, con capelli dritti, mentre la palpebra presenta la caratteristica “piega mongola” e tutti i neonati presentano la cosiddetta “macchia mongola” (una specie di livido sul fondo schiena) che progressivamente scompare dopo qualche mese dalla nascita.

Per quanto riguarda la presenza di elementi diversi da quelli nordici nella popolazione del Giappone, non ci possono essere dubbi, ma da dove siano venuti non lo sappiamo. I giapponesi potrebbero aver derivato un ceppo meridionale da un’origine proto-malese. È probabile che ci sia stata una diffusione da un centro comune sulla terraferma asiatica che allo stesso tempo ha popolato le isole del sud e ha fornito il ceppo meridionale nella popolazione e nella cultura del Giappone. Questo centro potrebbe essere stato nella Cina meridionale o in Indocina. Ma tutto questo è nel regno delle congetture.

Un’antica mappa del Giappone

Le prove archeologiche dimostrano che attorno alla fine del primo secolo a.C. in Giappone esisteva ormai una civiltà abbastanza uniforme. La fusione etnica che produsse la civiltà giapponese risale a un’antichità più remota, di cui non abbiamo conoscenza. I giapponesi, dalla fine dell’età della pietra in poi, mostrano una miscela di molte caratteristiche etniche.
A ovest il Giappone aveva un continente grande e variamente popolato, a est un immenso tratto di oceano invalicabile. Le isole nipponiche erano quindi una sorta di capolinea, in cui vari immigrati spinti dalla fame, dalla paura, o forse dalla semplice voglia di avventura, si incontravano e dove, non potendo andare oltre, dovevano fondersi o perire.

Età del Bronzo e del Ferro

L’età della pietra in Giappone continuò fino all’inizio del I secolo d.C.. Non ci sono date precise ma prove archeologiche dimostrano che la cultura neolitica stava giungendo al termine nell’ovest del Giappone durante il primo secolo a.C., anche se continuò nel Giappone centrale per due o tre secoli più a lungo e in luoghi remoti dell’estremo nord non era del tutto scomparsa entro la fine del primo millennio.
Ciò che causò la fine della fase neolitica fu l’influenza della cultura metallurgica della Cina, esercitata prima sulla Corea e poi dalla Corea passata al Giappone.

La cultura del bronzo in Cina, al suo apice sotto la dinastia Chou, si diffuse in Manciuria meridionale e lungo le coste della Corea fino all’estremo sud della penisola. Nei siti neolitici di quelle regioni apparvero monete (come i gettoni di metallo chiamati “soldi a coltello”) coniate verso la fine dei Chou o l’inizio della dinastia Ch’in – vale a dire circa 300 a.C.. La Corea non fu solo la via attraverso cui la civiltà Han passò al Giappone, ma un terreno in cui elementi culturali provenienti da varie fonti si combinarono prima di essere trasmessi.

Con la dinastia Han la Cina entrò nell’età del ferro. Questa nuova tecnologia si diffuse molto presto anche nelle stesse regioni, poiché le monete coniate in Cina nel primo decennio d.C. sono state trovate in siti neolitici della Manciuria meridionale e della Corea insieme a utensili in bronzo, ferro e pietra. Finora in Giappone non sono stati trovati oggetti attribuibili al tardo periodo Chou, ma non sono rare le monete della dinastia Han orientale. La loro presenza mostra come la cultura cinese del bronzo abbia raggiunto il Giappone attraverso la Corea dopo un ritardo di qualche decennio o forse di un secolo. Certamente all’inizio del primo secolo la cultura cinese del bronzo aveva iniziato a influenzare il Giappone, ma prima che soppiantasse del tutto la cultura neolitica, venne superata dalla cultura del ferro. Non ci fu dunque il tempo perché in Giappone si sviluppasse una vera e propria età del bronzo.

Il Periodo Kofun (古墳時代) – Sepolture a Tumulo

Il Kofun è un tumulo, spesso a forma di buco di serratura che ricopre una bara di pietra o terracotta. Le tombe dei sovrani, chiamati misasagi, sono di dimensioni impressionanti. Quella dell’imperatore Nintoku (morto intorno al 400 d.C.) è lunga 580 metri e alta 27. Coi suoi fossati copre uno spazio di 32 ettari! Tali tumuli si trovano principalmente nel Giappone occidentale e centrale. All’interno delle camere sepolcrali in pietra si trovano vasi quasi identici nella forma e nella decorazione a quelli Yayoi, ma tecnicamente superiori, più duri e quasi sempre modellati al tornio, insieme a gioielli, specchi, armi e altri oggetti in bronzo e ferro.

Haniwa (埴輪)

Fuori dai kofun, ma ad essi associati, si trovano figure di argilla note come haniwa. Le figure d’argilla del Neolitico avevano proporzioni strane e volti deformi, probabilmente destinate ad allontanare gli spiriti maligni. Quelle dei kofun sono uomini e donne con volti ovali e lineamenti regolari, che indossano abiti con maniche e portano collane e orecchini, hanno un’acconciatura elaborata o la testa coperta da un copricapo. I visi erano colorati, con disegni ben definiti, di solito rossi. Gli haniwa sono spesso a forma di cilindro sormontato da un busto, per cui il costume completo spesso non è rappresentato. L’impressione generale è comunque quella dell’abito tipico degli asiatici del nord, non dei popoli delle regioni tropicali. Le armi sono per la maggior parte di tipo continentale, mongolo o cinese, simili a quelle che si trovano nel nord-est asiatico. La freccia nota come nari-kaburaya (un bulbo cavo posto sull’estremità della freccia che fischia quando viene scoccata), è un’arma caratteristica del periodo dei tumuli sepolcrali, e non è sicuramente di origine oceanica. Le armature, gli elmi e le bardature per cavalli, di ferro e bronzo, mostrano indubbiamente un debito sia verso la Cina che verso la Mongolia. Molti degli specchi in bronzo sono di realizzazione cinese, probabilmente della dinastia Han.

Magatama (勾玉)

Gli oggetti di pietra contenuti nei tumuli non sono strumenti e armi proprie di una cultura neolitica, ma ornamenti o oggetti per uso cerimoniale. Tra questi spiccano i “gioielli curvi” (magatama), che evidentemente derivano dagli artigli o dalle zanne di animali. Alcuni sono fatti di osso, alcuni di corno altri di pietra. Gli sono state attribuite proprietà magiche. In effetti, fino a tempi molto recenti in Corea e nella Siberia orientale, l’artiglio della tigre era considerato un amuleto di grande potere. I magatama dei tumuli sono spesso di pregevole fattura, realizzati con una grande varietà di materiali, come l’agata, il diaspro, il serpentino, il quarzo, il vetro, la giada, la nefrite e il crisoprasio. Nessuno di questi ultimi tre materiali si trova in Giappone, e nemmeno in Cina, ma sono comuni nella regione del lago Baikal e nelle montagne degli Urali.

Questa, in breve, è la storia del Giappone preistorico emersa dalla ricerca archeologica.

  • Si può concludere con una certa certezza che il Paese fu abitato verso la fine del Neolitico da popolazioni del ceppo noto agli etnologi come Ural-Altaici, che comprende finlandesi, samoiedi, unni, tribù tungariche e mongoli.
  • Ci furono scambi tra Giappone e Corea, che si susseguirono in ondate migratorie dal nord-est asiatico, probabilmente attraverso la Corea.
  • Con il passare del tempo, aumentò il numero degli immigrati che, nella loro terra d’origine o durante la migrazione, entrarono in contatto con la cultura del bronzo o del ferro.
  • Questa influenza proveniva principalmente dalla Cina, soprattutto durante la dinastia Han.
  • È difficile valutare l’entità dell’elemento uralaltaico nei caratteri dei giapponesi, come distinto dalla cultura materiale da loro adottata.

Molte delle qualità giapponesi, gran parte del loro pensiero e del loro comportamento, non solo come rivelato nelle loro prime leggende, ma anche come osservato oggi, li distinguono nettamente dai cinesi, nonostante il loro grande debito intellettuale e spirituale verso le successive dinastie Han, T’ang, Sung e Ming.

Dalla preistoria al secondo dopoguerra il potere e il prestigio delle culture straniere sembrano aver spesso travolto e trasformato il Giappone, ma ha sempre resistito un nocciolo duro e non permeabile del carattere individuale, che resiste e a sua volta trasforma l’influenza esterna.

Prime Cronache Cinesi

Ci sono alcune testimonianze sia nella leggenda, che e nella storia scritta, che aiutano a completare il quadro della prima civiltà giapponese che è fornito da reperti archeologici. I primi documenti cinesi ci forniscono alcune informazioni, ma bisogna leggerli con rispettosi dubbi.

Il primo riferimento autentico al Giappone è probabilmente un passo dello Shan Hai Jing (o “Libro dei monti e dei mari”) che afferma che gli Wa erano soggetti al Regno di Yen. Gli Wa sono i giapponesi, o comunque alcuni dei popoli che abitavano il Giappone, presumibilmente non più tardi del 265 a.C., quando il Regno di Yen perse la sua indipendenza. L’ideogramma usato dai cinesi per rappresentare il Wa è quello usato per rappresentare i nani. È possibile quindi che ci siano stati rapporti di qualche tipo (non necessariamente di vassallaggio) tra giapponesi e cinesi nel III secolo a.C., e che i cinesi abbiano conosciuto i giapponesi come persone di bassa statura. Quanto affermato nello Shan Hai Jing, e la presenza nelle tombe della Corea del Nord e del Sud di monete coniate dai governanti dello Yen, dimostrano che c’era un certo traffico tra lo Yen e la Corea. Monete di questo tipo non sono state trovate in Giappone, ma sono state trovate nelle isole Luchu. Le prove di un contatto diretto tra cinesi e giapponesi nella prima metà del III secolo a.C. non sono quindi trascurabili, ma non sono molto forti.

Influenza Cinese e Coreana

La prima menzione della Corea nei documenti cinesi si trova nello Shi Chih, dove ci viene detto che l’imperatore Chou Wu (1122 a.C.) diede la Corea in feudo a uno statista di nome Chitzu, che partì con alcune migliaia di seguaci e introdusse le arti e la civiltà nella Corea del Nord. Secoli dopo, quando il primo imperatore Qin Shi Huangdi, sottomise i suoi rivali, desideroso di trovare l’elisir dell’eterna giovinezza – così narra la leggenda – inviò dalla costa dello Shantung a un’isola dell’est un saggio taoista di nome Sufu, con tremila uomini e donne, artigiani di ogni tipo e un carico di semi. Non ci si dovrebbe fidare molto di questo racconto, ma mostra almeno una tradizione di migrazione precoce dei portatori di cultura in direzione del Giappone. È anche notevole, come dimostra la persistenza di quella tradizione, che nei primi scritti giapponesi il carattere cinese per Ch’in rappresenta la parola per tessitore. Questo non conferma la tradizione, ma potrebbe indicare che nella mente dei giapponesi la loro prima conoscenza delle arti della civiltà cinese è venuta dai contatti con la dinastia Ch’in. Certamente alcune di queste arti sono state trasmesse al Giappone, anche se solo da intermediari coreani, durante o non molto tempo dopo il periodo Ch’in. Gli archeologi hanno trovato nel Giappone occidentale, oltre ad articoli in bronzo in stile Ch’in, spade di pietra e punte di freccia copiate da originali che sono comuni in tutta la Corea e appartengono ai Ch’in o ad epoche precedenti.

Nel 206 a.C. la dinastia Han sostituì i Ch’in in Cina. Nel 108 a.C. Chao-hsien, un paese che risponde all’incirca alla metà settentrionale della Corea moderna, fu conquistato e diviso in quattro province sotto governatori cinesi, con un sistema di amministrazione sul modello cinese. La provincia di Lakliang comprendeva l’intera Corea fino al fiume Han e un territorio indeterminato a sud. Ai suoi confini meridionali e orientali il Paese era nominalmente sotto il dominio cinese, e punti strategici erano occupati da avanposti militari. L’influenza culturale cinese deve essersi diffusa gradualmente nella penisola, soprattutto a sud e lungo la costa.

Dalle testimonianze della prima dinastia Han e dai ricchi ritrovamenti in numerose ed elaborate tombe scavate nei pressi di Pyongyang, è chiaro che Lakliang era una delle più prospere colonie cinesi e un importante avamposto della cultura cinese. Che la sua influenza si sia estesa molto più a sud è indubbio. In vari punti della Corea del Sud gli scavi archeologici hanno trovato utensili e ornamenti in bronzo e ferro, monete, gettoni e ceramiche che mostrano che gli articoli provenienti da Lakliang raggiunsero queste parti approssimativamente tra il 50 a.C. e il 50 d.C..

Inoltre ci sono prove che alcuni oggetti, come specchi di bronzo, spade, lance e ornamenti personali, siano stati realizzati localmente a imitazione del lavoro di Han. Specchi di bronzo realizzati in Cina nei primi tempi Han, sono emersi nel Giappone occidentale insieme alla ceramica Yayoi in punti facilmente raggiungibili dalla costa meridionale della Corea.

Cronache Han

Da questo momento in poi, le relazioni tra Giappone e Cina divennero sempre più strette. Non abbiamo traccia dei loro inizi, ma possiamo essere certi che i viaggiatori provenienti dall’estremo ovest del Giappone abbiano trovato la strada verso le colonie cinesi in Corea nel primo secolo a.C.. La prima menzione di tali viaggi avviene nei registri Han, dove, in un’iscrizione che annota l’arrivo di un’ambasciata giapponese a Loyang, la capitale Han, nel 57 d.C., si trova il seguente passaggio:

Il paese di Wa si trova a sud-est della Corea del Sud, in mezzo all’oceano, ed è formato da una serie di isole. Contiene più di cento regni. Dal tempo in cui l’imperatore Wu-Ti conquistò Chao-hsien (cioè la Corea del Nord, nel 108 a.C.) più di trenta di questi regni hanno avuto rapporti con la Cina per mezzo di ambasciatori o scribi… Comprendono l’arte della tessitura… I loro soldati hanno lance e scudi, archi di legno e frecce di bambù a volte con punta d’osso. Tutti gli uomini si tatuano il viso e adornano i loro corpi con disegni. La posizione e le dimensioni dei disegni indicano differenze di rango e di status. Spalmano i loro corpi di rosa e scarlatto, così come in Cina si usa la polvere di riso“.

Questa cronaca fornisce ulteriori informazioni riguardanti il Giappone e i suoi usi, che con ulteriori dettagli sono annotati anche nei registri Wei. Questi scritti non sono del tutto attendibili poiché furono compilati nella loro forma attuale a partire da materiali non più esistenti, molto tempo dopo il periodo che descrivono. Certamente presentano delle incongruenze e i loro testi sono in alcuni punti incoerenti. Tuttavia le affermazioni dei documenti Wei, anche se non possono essere pienamente accettate, danno comunque un quadro credibile e corretto del Giappone così come lo vedono gli osservatori cinesi nel primo secolo d.C.

Le cronache Wei forniscono i nomi, molti dei quali sono identificabili, di distretti, città e funzionari, insieme a indicazioni stradali, distanze e altri particolari. Nonostante alcuni errori evidenti, essi danno l’impressione di resoconti di testimoni oculari verosimili, mal gestiti dai compilatori successivi. Dichiarano, per esempio, che tutti i maschi avevano tatuaggi. Questo è un fatto per il quale non ci sono altre prove, se non che il tatuaggio è ancora praticato dagli Ainu. Quello che dicono delle macchie di rosa e scarlatto è però confermato dalle tracce di colore trovate sull’haniwa, le immagini di argilla dei tumuli.

Ad ogni modo, quello che ci dicono è sufficiente a dimostrare che le persone visitate dai viaggiatori Han e Wei avevano raggiunto un livello di organizzazione sociale moderatamente elevato. Stavano già emergendo dalla cultura neolitica all’inizio dell’era cristiana, e grazie all’influenza coreana e cinese potevano raggiungere ulteriori progressi culturali.

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