Nel 2013 l’UNESCO ha inserito il «Washoku, la tradizione culinaria giapponese» nell’elenco dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. (Qui le motivazioni) È stato così ufficialmente riconosciuto a livello internazionale il valore della cucina regionale giapponese tradizionale. In lingua giapponese la parola “washoku” significa cibo nipponico. È composta dagli ideogrammi wa (和) e shoku (食). Il primo è l’antico carattere per indicare il Giappone il secondo significa cibo. La parola giapponese per indicare cucina, inteso come l’atto di cucinare, è ryōri (料理).
La cucina giapponese ha avuto successo in tutto il mondo perché è buona e salutare, assieme agli Anime e all’elettronica, rappresenta all’estero uno degli aspetti del cosiddetto Cool Japan. Vediamo le tappe fondamentali della sua storia.
Alle origini della cucina giapponese
La Preistoria
Epoca Jōmon・縄文時代
La preistoria del Giappone (di cui ho parlato in questo articolo) dura fino ai primi secoli del primo millennio. Gli scavi nei siti archeologici di epoca Jōmon (14.000 – 300 a.C.) hanno portato alla luce ingenti quantità di conchiglie marine che dovevano quindi costituire parte importante della dieta di un cultura di cacciatori-raccoglitori con poche primitive forme di agricoltura e allevamento.
La diffusione del vasellame in terracotta permise l’utilizzo di cotture come la bollitura e più complesse forme di conservazione dei cibi con salamoia e fermentazione.
Epoca Yayoi・弥生時代
In epoca Yayoi (400 a.C. – 300 a.C.) la dieta si arricchisce di riso, cereali e soia, le cui sementi e tecniche di coltivazione arrivano dal continente e si diffondono rapidamente in Giappone.
Shinsen Ryōri・神饌料理
La più antica forma di cucina giapponese strutturata è lo Shinsen Ryori, legata ai riti religiosi shintoisti.
Secondo lo shinto, il politeismo autoctono giapponese, il tempio non è il luogo dove le divinità risiedono, ma dove è più facile che si manifestino. L’offerta di cibo e bevande agli dei è il modo per richiamarli così che gli offerenti possano manifestargli le proprie richieste o ringraziamenti. Su speciali alzate in legno vengono appoggiati pesce, frutti di mare, verdure, frutta, riso, sake, sale, pollame, ecc. Ogni tempio ha le sue offerte specifiche, legate alla località, alla stagione, alle peculiarità della divinità che si vuole richiamare, secondo un complessa ritualità.
La parola “shinsen” significa offerta agli dei. Alla fine del rito religioso i partecipanti mangiavano tutti assieme. Il mangiare insieme era di fatto l’atto più importante perché simbolicamente rappresentava la comunione con gli dei che si erano attirati con il cibo.
Ancora oggi chi visita i templi nel corso di un viaggio in Giappone noterà che spesso, di fronte all'”altare” sono poste offerte di cibo e sake.
Daikyo Ryōri・大饗料理
Nell’epoca Heian (VIII – XII secolo) fa la sua comparsa l’arte culinaria dei banchetti aristocratici: Daikyo Ryori. Influenzata dalla cultura cinese, su una grande tavola venivano disposti numerosi piatti da portata. I partecipanti mangiavno con bacchette, che furono introdotte proprio in questo periodo, e cucchiai.
Le pietanze non erano condite. Ogni ospite le insaporiva secondo il suo gusto coi condimenti che trovava su quattro piattini: sale, aceto, sake e hishio (una sorta di miso primitivo).
Per i pasti di tutti i giorni invece, ciascuno aveva un suo tavolino.
Shojin Ryōri・精進料理
A partire dall’VIII secolo si diffonde sempre più in Giappone il Buddhismo Zen.
Furono i monaci buddhisti, al loro rientro dalla Cina dove avevano studiato lo zen, a introdurre questo tipo di alimentazione in Giappone. Ad esempio Il monaco Eisai (1141-1215), che diede origine alla cerimonia del tè nei templi zen. Il monaco Dogen (1200-1253), che attribuì notevole importanza al pasto inserendolo tra le pratiche ascetiche.
Tra i vari precetti molti riguardano il regime alimentare che dà vita alla cucina Shojin Ryōri. Si tratta di una cucina vegetariana o vegana, che esclude prodotti di origine animale, quindi uova, latticini, ma anche sapori aggressivi come aglio e cipolla. Ingredienti base della cucina Shojin sono le erbe selvatiche, i legumi e loro derivati tra cui il tofu (qui la nostra ricetta del tofu). I condimenti sono leggeri e delicati.
Venne inoltre ulteriormente sviluppata la raffinata tecnica di condimento con miso, salsa di soia, olio di sesamo.
Honzen Ryōri 本膳料理
Nel XV secolo fanno la loro comparsa quasi tutte le arti tradizionali giapponesi come la cerimonia del tè, l’Ikebana, il teatro Nō e il Kyogen (forma di teatro comico).
A tavola si assiste alla nascita dello Honzen Ryori, tutta quelle preparazioni alimentari da consumare durante i banchetti di accoglienza dello Shogun, il leader militare. Le pietanze erano condite come nella cucina zen. Vengono stabiliti in questo periodo i numeri dispari delle portate: 7, 5, 3, ancor oggi importanti per la composizione a tavola.
Cerimonia del Tè e Cucina Kaiseki・懐石料理
Tra il XV e il XVI secolo appaiono le preparazioni legate alla cerimonia del tè, con le quali la cucina giapponese raggiunge il suo apice: il Kaiseki Ryōri. Vengono rimossi gli elementi esclusivamente decorativi e i piatti freddi, e si serve una successione di portate calde in piccole porzioni elaborate. João Rodriguez (1561-1634), missionario portoghese che visse molti anni in Giappone, nel suo libro “Historia da igreja do Japão” descrisse con ammirazione la cucina per la cerimonia del tè, affermando che essa aveva rimosso i vecchi costumi del banchetto ed apportato uno stile nuovo al pasto quotidiano.
Secondo il celebre maestro della cerimonia del tè Sen-no Rikyu (1522-1591), l’ideale del Kaiseki Ryōri è un menu frugale composto da riso, zuppa, konomono (sorta di verdura in salamoia) e uno o due piatti con verdure e pesce, servito agli ospiti dallo stesso padrone di casa. Nel Kaiseki Ryōri è importante riflettere negli ingredienti e nella presentazione, il trascorrere delle stagioni, armonizzando le pietanze, preparate con raffinatezza ed eleganza, ai recipienti che le contengono.
Primi influssi occidentali
Nel 1540 in Giappone sbarcarono i missionari gesuiti di Francesco Xavier. Oltre al cristianesimo, portarono in Giappone molti usi e costumi occidentali, anche nell’alimentazione. Arrivò il vino, che di lì a breve si iniziò a produrre anche localmente, il pane, il pan di spagna. Molti di questi prodotti sono così assimilati nella cultura alimentare giapponese e adattati agli ingredienti, al gusto e all’estetica locale da poter essere tranquillamente considerati tradizionali. A volte però conservano nel nome l’origine straniera. È dibattuto se anche la celebre frittura giapponese, il tempura, non sia un’evoluzione delle verdure pastellate che i missionari portoghesi mangiavano nei giorni di magro della quaresima. Certamente il nanbanzuke (南蛮酢け), sarde e sgombri fritti e marinati in aceto, deriva dal pesce in escabeche della cucina mediterranea.
L’Epoca Edo
La cucina giapponese vide il suo perfezionamento in epoca Edo (XVII – XIX secolo). All’apice di questo periodo si trovano diversi stili: l’Honzen Ryori, il Kaiseki Ryori servito nei ristoranti, il Fucha Ryori, il Shippoku Ryori e il Kaiseki Ryori legato alla cerimonia del tè.
All’inizio di quest’epoca i condimenti principali erano ancora il sale, l’aceto e il miso. Lo zucchero era di importazione e molto costoso. Il mirin non era ancora in uso. La salsa si soia arrivava a Edo (Tokyo) da Osaka. A partire dal ‘700 si incomincia a produrre la salsa di soia anche a Edo. Una volta introdotto il mirin, il sapore della salsa di soia abbinata al mirin divenne il gusto tipico di Edo.
Nel primo quarto del XlX secolo appaiono i piatti tipici dello street food giapponese a tutt’oggi ancora popolarissimi come il kabayaki di anguilla o il nigirizushi (leggi la nostra storia del sushi). A Kyoto compaiono i dolci dalle forme raffinate preparati con il costoso zucchero bianco. Anche in altri luoghi turistici si cominciano a produrre dolci tipici. Nasce così il gusto per la pasticceria tradizionale.
In questo periodo si assiste a un vero e proprio boom dei pellegrinaggi a templi e santuari, del turismo, delle trattorie, dei libri di cucina ecc. Il cibo incomincia ad essere associato allo svago e divertimento.
Daikyo Ryori e Honzen Ryori continuano ad essere le preparazioni per la classe al potere come nobili e samurai. La cucina dell’epoca Edo, servita in trattorie e bancarelle, è invece parte della cultura popolare di grandi città come Edo (Tokyo), Osaka e Kyoto.
Katsuo, Kombu, Umami
La caratteristica forse più importante della cucina giapponese è il gusto umami (di cui parliamo in dettaglio qui), quella speciale sapidità che deriva dal konbu (alghe della specie laminaria), dal katsuo (tonnetto secco e affumicato), dall’hoshi-shiitake (funghi secchi), ecc.
Il konbu e il katsuo erano già in uso da più di mille anni, ma diventano comuni solo in epoca Edo, quando iniziano ad essere facilmente reperibili. Grazie allo sviluppo della nuova linea marittima nel Mare del Giappone, il konbu dell’ Hokkaido arrivava in grandi quantità ad Osaka.
Alla fine del XVII secolo circa viene inventato il katsuo-bushi (tonnetto essiccato, fermentato e affumicato), che si diffonde rapidamente.
L’influsso occidentale in epoca Meiji
Nel 1854 navi da guerra americane forzano l’apertura dei commerci. Il Giappone esce dall’isolamento internazionale in cui si era chiuso durante il periodo Edo ed è costretto a firmare trattati ineguali con le potenze occidentali che possono esportarvi i propri prodotti senza tariffe doganali. L’influenza dell’Occidente ha un grande impatto nella successiva epoca Meiji (1868-1912).
Si diffonde la carne, il cui consumo era stato del tutto marginale nella dieta delle epoche precedenti. I piatti occidentali a base di carne vengono arrangiati à la japonaise per adattarsi meglio ad essere mangiati con le bacchette e per l’abbinamento con il riso in bianco. Ricette europee diventano di moda nei ristoranti e bancarelle prima, e in seguito nelle preparazioni domestiche. Gli studenti giapponesi che vanno a studiare in Germania, Inghilterra, Stati Uniti, sviluppano un gusto per la cucina delle potenze occidentali. Nelle scuole femminili si fanno lezioni di cucina, si parla di nuove ricette nelle riviste, giornali e nei programmi radiofonici. Il menu della cucina casalinga diventa più vario. Questa tendenza si rafforza grazie alle casalinghe delle grandi città e alle studentesse delle scuole femminili. La diffusione dell’acqua corrente e dei fornelli a gas allevia le faccende domestiche.
Il Dopoguerra
L’anno 1979 segna un significativo calo nel numero delle casalinghe giapponesi. In questo periodo si diffondono sempre più elettrodomestici nelle case: il bollitore per il riso, la lavatrice, il frigorifero ecc. Fanno la loro comparsa i fast food, gli alimenti preconfezionati e surgelati. Il boom economico, la diffusione dei mass media, le trasformazioni della grande distribuzione e dei ristoranti hanno un grande impatto anche sulla cultura alimentare nipponica. I Giapponesi trovano e apprezzano ormai i piatti più disparati.
Nel 1977, nel “Dietary Goals for the United States” (“McGovern Report”), il senatore americano George Stanley McGovern indica la cucina giapponese come modello per una sana alimentazione anche negli Stati Uniti. Ironicamente, proprio mentre il mondo incomincia ad accorgersi dei pregi della dieta nipponica, in patria i giapponesi cominciano invece a mangiare in modo più occidentale, con un sensibile aumento di zuccheri, grassi e proteine animali.
I cambiamenti sociali che portano a famiglia nucleare, aumento dei single, basso tasso di natalità, invecchiamento della società, portano a un’ulteriore semplificazione della cucina giapponese. I Giapponesi sempre più spesso mangiano fuori casa e dipendono da cibi pronti da asporto. Il risultato è un aumento dello spreco alimentare, dei pasti consumati in solitudine, della perdita della cucina locale, l’uniformazione dei gusti.
Il mantenimento e l’eredità della cucina giapponese
Riflettendo sulla storia della cucina giapponese, si può notare come la diversità nella cucina casalinga si sia realizzata in tempi abbastanza recenti. Il Giappone, un paese completamente circondato del mare, con l’alternarsi di stagioni ben distinte, ha un abbondanza di risorse diverse, dal mare e dalla terra, che hanno dato vita a preparazioni regionali e a una ricca cultura culinaria. Prima dello sviluppo economico, fino a 50 anni fa, questa era la normale situazione in tutto in paese.
Oggi, come in tutti i paesi sviluppati, anche i consumatori giapponesi vogliono mangiare il loro cibo preferito dovunque si trovino nel paese, in qualsiasi momento e indipendentemente dalla stagione.
Chi abbia viaggiato in Giappone ha certamente notato la grande diffusione di tutte le catene di fast food occidentali, gli immensi reparti di cibo pronto in supermercati e convenience store aperti 24h al giorno. In molte case giapponesi la cucina consiste in un frigo, un forno a microonde, una singola piastra elettrica per riscaldare cibi precotti.
La sfida per la preservazione della cucina casalinga giapponese non è dissimile da quella cui si trovano di fronte le tradizioni alimentari e culinarie di molti paesi occidentali.